“I dati delle ultime raccolte Otto per Mille UCEI sono preoccupanti e si inscrivono in una più generale disaffezione e sfiducia verso le istituzioni, dalla Chiesa ai partiti tradizionali. Una matrice cui sono ugualmente riconducibili la crescita della quota inespressa e l’aumento dell’astensionismo. Il fenomeno è allarmante – la riflessione di Disegni – perché indica che la popolazione ha preso le distanze dalle sfere dell’impegno civile e politico”.
Come invertire, allora, questa tendenza? Per Disegni, ponendosi due priorità: assicurare un futuro ebraico alle generazioni che verranno, investendo in cultura ed educazione, e far conoscere la realtà ebraica ai non ebrei, per dialogare con le altre componenti della società. Obiettivi sostenibili e praticabili solo con il contributo delle comunità e dei maggiori soggetti culturali. “Le prime, in particolare, minate da numeri sempre più esigui – ha affermato Disegni – dovrebbero imparare a superare i personalismi, la difesa dei piccoli interessi, ed elaborare una visione condivisa. Che non significa omogeneità, ma una sana e serrata dialettica tra le differenti posizioni, lavorando in squadra”.
La ricerca di una nuova ricetta, in grado di risollevare le sorti della raccolta fondi, implica che qualche ingrediente, prima, mancasse o non fosse ben dosato. Questa l’opinione del presidente del Meis: “I risultati ci dicono che è profondamente sbagliato contare solo sull’Otto per mille e ci impongono di individuare fonti economiche alternative, se vogliamo evitare il collasso”. Quindi, ha esortato, “oltre a rivolgerci al nostro interno, dobbiamo attirare le grandi istituzioni culturali e museali dell’ebraismo italiano, le fondazioni nazionali e internazionali, ebraiche e non, che già in passato hanno fortemente sostenuto il recupero, la tutela e la valorizzazione del patrimonio ebraico e le iniziative via via promosse”.
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Per riuscire nell’intento, l’imperativo è “sviluppare professionalità”. Traduzione: le chance di finanziamento diventano concrete solo presentando progetti ineccepibili, di elevato spessore culturale e metodologicamente rigorosi, corredandoli di una rendicontazione scrupolosa e garantendo agli ‘sponsor’ non solo una buona risonanza, ma anche dei benefit di natura fiscale. “I precedenti esistono già – è la rassicurazione – penso a Piemonte Ebraico o alla Fondazione per i Beni Culturali Ebraici in Italia, che hanno entrambe chiesto e ottenuto dall’Agenzia dell’Entrate il riconoscimento dello statuto di onlus, incentivando così le donazioni. Ecco, questo è un modello che le comunità dovrebbero replicare”.
A proposito di professionalità, Disegni tratteggia l’identikit delle figure che potrebbero imprimere un nuovo passo: “Ai presidenti delle comunità spetta il compito di dare degli input, di svolgere un ruolo politico, di indirizzo, ma poi il lavoro va seguito dai segretari generali. Veri e propri chief executive che devono essere a proprio agio con le materie giuridiche, finanziarie e tributarie, possedere spiccate capacità di interlocuzione con gli iscritti e i consiglieri, sapersi rapportare con i ministeri e con gli altri referenti istituzionali. In questo senso, purtroppo, il mondo ebraico italiano sconta un enorme ritardo”.
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E l’unione potrebbe fare la forza di un secondo progetto che interessa la FBCEI, come spiega il suo presidente: “Basandoci sul principio dei matching funds, stiamo partecipando con la Slovenia a un bando Interreg per il cimitero di Valdirose e provando ad affiancarci anche altri Paesi della costa adriatica. Se le cose andranno a buon fine, questa esperienza potrebbe diventare esemplare, paradigmatica per ragionamenti successivi”.
Il condizionale è d’obbligo, considerate tutte le difficoltà che lastricano la via: rispetto a un tempo, la quantità, lo spettro e il costo dei servizi messi in campo dalle comunità sono aumentati esponenzialmente, mentre la propensione a donare (contribuzioni annuali, patrimoni dei defunti, etc.) è scesa in picchiata, seguendo la parabola di un legame con le comunità che si è complessivamente affievolito e rendendo sempre più difficile mantenere le scuole ebraiche e assistere le persone bisognose. E le cose non vanno tanto meglio sul versante esterno: ha senso proporsi alle fondazioni bancarie, in qualche caso pure alle Regioni, ma assai meno ai Comuni, dove i fondi languono. Meglio tentare coi bandi europei, che però sono molto complessi e richiamano parecchi competitor.
Un declino inarrestabile, dunque? “Come accade nelle aziende in crisi, non possiamo escludere di dover intervenire sui recuperi di efficienza, agendo su chi è più vicino alla pensione e ridistribuendo i carichi di lavoro. Ma questo rischio può essere scongiurato coinvolgendo di più i membri delle comunità, facendoli sentire protagonisti di una battaglia comune per la conservazione e la produzione di cultura, la costruzione del futuro, e studiando le strategie più efficaci per sviluppare il senso di identità dei vicini e attrarre i lontani”.
Daniela Modonesi
(Nelle immagini, dall’alto in basso, la redazione UCEI con Dario Disegni; il presidente del Meis con Andreina Contessa; Disegni con il sindaco di Ferrara Tiziano Tagliani e la direttrice del Meis Simonetta Della Seta)
(26 luglio 2017)